È la scienza che ce lo dice e gli stessi micologi confermano come sia facile incappare in specie di funghi potenzialmente dannosa per il nostro organismo anche nei mercati o nei ristoranti. Ogni chef dovrebb infatti, possedere una conoscenza approfondita delle caratteristiche di questo ingrediente e non vale la regola di trattarli termicamente tutti allo stesso modo. Non sono rari i casi di ristoranti, anche stellati, che hanno proposto ai propri clienti pietanze a base di funghi raccolti, creando serie conseguenze ai commensali.
Ecco un vademecum essenziale e una serie di ricette originali proposte da Fabrizio Fabrizi, esperto micologo e direttore scientifico del Gruppo Micologico Federico II, basate sulle caratteristiche peculiari di alcuni funghi apprezzatissimi e diffusi in tutta la penisola.
La classifica di bontà dei funghi spontanei
Ognuno ha una sua personale classifica rispetto alla bontà dei funghi, redatta in base alla propria cultura e tradizione culinaria. Le caratteristiche organolettiche si differenziano notevolmente ed è sempre una buona abitudine quando li si compra leggere il nome esatto della specie sull’etichetta. Diverse, infatti, saranno le sfumature e le consistenze. Nel caso dei porcini, i più conosciuti, si va dalla grande aromaticità e dolcezza del Boletus Aestivalis, fino al gusto particolarmente pronunciato del Boletus Aereus, o al gusto più tenue del Boletus Edulis e del Boletus Pinophilus, ottimi da inserire anche nei misti di funghi.
Oro giallo e nero nella famiglia dei finferli: il Chantarellus cibarius, che si trova dall’estate all’autunno inoltrato o la cosiddetta finferla, e il Chantarellus lutescens costituiscono specie tra le più ricercate; e la versione di colore nero, le cosiddette “trombette dei morti” Craterellus cornocupioides, è particolarmente aromatica una volta essiccata. Tra i più costosi in assoluto e protagonisti di ricette gourmet ci sono le morchelle, da non confondere con il genere Gyromitra o “false spugnole” potenzialmente mortali! Vale anche per le morchelle o spugnole qualche accorgimento in cottura: mai cuocerli per meno di quindici minuti perché comunque contengono tossine termolabili che se non disattivate termicamente potrebbero causare seri rischi per la salute del consumatore. E poi c’è l’utilizzo in base al grado di maturazione del fungo, come nel caso delle gustose “mazze di tamburo” (Macrolepiota procera): scartando sempre parte del gambo legnoso e quando sono ancora chiuse, da giovani, vanno trattate come i funghi prataioli (genere Agaricus) con una trifolatura per una salsa in bianco dove si possa apprezzare il vero gusto dei funghi. A maturazione avanzata, invece, il loro cappello a forma di ombrello sarà perfetto da panare e friggere o, ancora, da preparare al gratìn.
Lo spignolo è un caso esemplare. Si chiama in gergo scientifico Calocybe gambosa ed è uno dei più profumati funghi italiani. Presente dalla primavera fino a tarda estate sotto piante spinose di rosacee, da cui il nome, o nei prati al margine dei “cerchi delle streghe” (visibili anelli di erba più verde intenso), è conosciuto anche con i nomi di fungo di San Giorgio, spinarolo o prugnolo. Se non cucinato correttamente perde tutte le sue caratteristiche che ne fanno un’icona gourmet. È preferibile dunque utilizzarlo da crudo, affettato sottile o a pezzetti, nei ripieni di pasta fresca. Richiede una cottura brevissima, pena la perdita del sapore farinoso-erbaceo, forte, gradevolissimo e persistente. La pratica migliore è abbinarlo a ingredienti che sono disponibili nella stessa stagione. Una regola che vale un po’ per ogni specie.
I consigli: la carta d’identità, la cottura e la conservazione dei funghi spontanei
Mai fidarsi delle proprie certezze e delle tradizioni. Funghi classificati come edibili a seguito di ricerche scientifiche e molecolari approfondite hanno portato gli esperti a riclassificare la loro commestibilità. Primo, occorre sempre affidarsi a micologi esperti per far verificare ogni fungo raccolto nel proprio cestino (essenziale la certificazione del micologo della ASL). Causa anche il cambiamento climatico, infatti, è sempre più frequente imbattersi in specie non presenti nel territorio fino a qualche anno fa. Importantissima la conservazione: i classici funghi chiodini, Armillaria mellea, ad esempio, non vanno mai conservati in frigorifero; vanno sempre sbollentati e l’acqua di cottura gettata; dopodiché si passano ancora in padella per una adeguata trifolatura. È sempre lecito, anzi un vero e proprio diritto, chiedere la “carta d’identità” dei funghi serviti, ovvero l’attestazione di un controllo formale sottoscritta da un micologo autorizzato, specie quando il ristorante acquista funghi spontanei da raccoglitori locali. Mai abbondare o fare pasti frequenti a base di funghi per periodi prolungati, le tossine presenti naturalmente nel carpoforo devono essere smaltite dall’organismo nei tempi corretti. Freschissimi sempre: tutti i funghi vanno sempre utilizzati al giusto punto di maturazione, senza evidenti tracce di parassiti. Di fronte a una raccolta abbondante, quindi è d’obbligo seguire le indicazioni dei micologi sul miglior metodo di conservazione.
E infine, in cucina: ecco, cinque ricette proposte dal micologo Fabrizio Fabrizi per valorizzare alcuni pregiati funghi spontanei attraverso l’esatta cottura e l’aggiunta di ingredienti che valorizzano ogni singola specie.
Calamaretti ripieni su salsa di porcini e chips di patate viola
Pulire dei calamari piccoli e freschissimi e farcirli con una parte degli stessi, pangrattato, prezzemolo, aglio e sale. Cuocere i calamari per circa 25 minuti in una padella con poco olio e l’aggiunta di vino bianco e acqua. Nel frattempo, trifolare dei porcini freschissimi della specie Boletus aestivalis, con olio e uno spicchio di aglio. Ultimata la cottura dei funghi, gli stessi si portano al mixer per formare una crema che va a costituire la base del piatto. Infine si prendono delle patate blu, si tagliano a listarelle e si friggono in olio fino a croccantezza. Impiattare i calamari sopra alla salsa di funghi e guarnire con le chips di patata viola.
Ravioli al galletto bianco: l’Hyghrophorus penarius
Per il ripieno dei ravioli sarà necessaria una crema di galletti bianchi ottenuta amalgamando i funghi in un mix con pari quantità di ricotta fresca. Procedimento: trifolare con una noce di burro il galletto bianco, aggiungere del latte fino a una consistenza semi densa. Parte del trifolato va passato al mixer per formare la salsa, cui va aggiunto un pizzico di sale e di noce moscata. Saltare i ravioli nella salsa e aggiungere dei pezzettini del fungo precedentemente trifolato.
Mezze maniche con fave, piselli, pancetta dolce e spignoli crudi
Si inizia soffriggendo della pancetta dolce a cubetti in poco olio, poi si aggiungono le fave e i piselli. Si porta a cottura la salsa aggiungendo poca acqua calda e un pizzico di sale. A parte, si cuociono le mezze maniche. A cottura quasi ultimata, si prende un bicchiere d’acqua di cottura della pasta che servirà per la mantecatura della stessa, in padella, con la salsa precedentemente preparata. Impiattare aggiungendo degli spignoli freschissimi tagliati con l’affetta tartufi.
Maltagliati di trombette con salsa di finferle
Avendo a disposizione delle trombette (Craterellus cornocupioides) si fanno trifolare in olio per 10 minuti circa, dopodiché si lasciano raffreddare e si tritano molto finemente. Quindi si prepara la pasta, con farina, uova, salsa di finferle, sale e un poco di acqua tiepida. Una volta realizzato l’impasto, con il mattarello si tira la sfoglia con spessore doppio rispetto alla classica tagliatella, quindi si taglia la sfoglia in modo irregolare formando i maltagliati. A parte si prepara una semplice salsa con le finferle (Craterellus lutescens) portandole a trifolatura per 10 minuti circa. I maltagliati vengono conditi con la salsa di finferle precedentemente preparata.
Gnocchetti alle mitrophore
Scaldare dell’olio extravergine di oliva in una padella con uno spicchio d’aglio. Si possono utilizzare tutte le tipologie di spugnole (mitrofore) precedentemente pulite, lavate e tagliate a pezzetti. I funghi vanno cotti con una trifolatura di 15 minuti, quindi si aggiunge del magro di agnello tagliato a pezzi molto piccoli, precedentemente messo a marinare per qualche ora in frigorifero con del rosmarino. Durante la cottura si aggiunge del rosmarino, si sfuma con del vino bianco e si aggiunge un po’ di acqua calda per terminare la cottura dell’agnello. Poco prima di spegnere il fuoco si aggiungono dei pomodorini pendolini, si uniscono gli gnocchetti precedentemente cotti e si saltano nella salsa. Servire con del cacio-ricotta fresco grattugiato.
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