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La Cucina Italiana: insegnante di cucina e di vita

Potrebbe sembrare una trovata pubblicitaria, e invece è proprio così: Benilde Mauri ha imparato a cucinare con le ricette di La Cucina Italiana. Lo ammette lei candidamente e lo confermano figli e nipoti. La sua specialità sono i piatti impegnativi: «La nonna sa preparare benissimo l’anatra all’arancia o un aspic, disossando il pollo alla perfezione. Per lei è più difficile fare un piatto banale», dice Mauro. Non che in casa si mangino solo manicaretti elaborati. Per il cibo di tutti i giorni c’era infatti nonno Mauro, l’asso dell’aglione (la pasta aglio e pomodoro tipica della Toscana, ndr), che amava riunire molti amici intorno alla tavola.

Per accoglierci, Benilde ha preparato alcune delle sue ricette speciali. Ad aiutarla ci sono i nipoti – Mauro, che fa lo chef, e Francesco, enologo fresco di laurea – e i figli, Maddalena, decoratrice, esperta padrona di casa e grande ricercatrice di produttori locali, e Mario, addetto ad apparecchiare la tavola nel suggestivo sfondo di Villa Lais, la casa di famiglia a Sipicciano, nel Viterbese. Manca invece la nipote Ilde che, avendo scelto di fare l’attrice, è impegnata su un altro set.

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Benilde Mauri all’opera, con l’aiuto della figlia Maddalena e del nipote Mauro.

Quando ha cominciato a leggere La Cucina Italiana?

«Dopo quella volta in cui ho rovinato un pranzo. Ai tempi dell’università, mio marito aveva invitato un amico a casa. Avevo deciso di preparare il brodo e un arrosto. Per farla breve, ho pensato che per togliere le impurità dal brodo si dovesse scolare come si fa con la pasta, ed è finito tutto nel lavandino. Nel frattempo avevo acceso il forno, e per sbaglio anche il grill, così ho anche bruciato l’arrosto! Insomma, non era rimasto niente da mangiare. Per fortuna mio marito ha rimediato con un piatto di spaghetti, salvando pranzo e amicizia. Promisi a me stessa che non sarebbe più successo, così comprai la rivista, e d’allora non ho più saltato un numero».

Quali sono le prime ricette che ha imparato?

«Il pollo disossato e la galantina. Ma i risultati non sono arrivati subito. Ce ne ho messo di tempo prima di fare una frittata come si deve. La verità è che anche la cucina semplice non lo è affatto. Perché un piatto venga bene, ci vogliono tanti piccoli accorgimenti che si acquisiscono solo con l’esperienza. E ci vogliono ottimi ingredienti».

Dove fa la spesa?

«In zona ci sono tanti mercatini e il mercoledì arriva un agricoltore che ci porta le verdure dai suoi orti a Bolsena. Siamo fortunati, abbiamo i prodotti della Tuscia. L’olio e le verdure hanno sapore perché sono genuini. Qui intorno la natura è intatta, tanto verde, zero inquinamento. Nella valle del Tevere ci sono paesaggi stupendi e boschi dove si raccolgono funghi e asparagi selvatici, come faceva sempre mio marito».

In pratica, segue l’idea del chilometro zero?

«Ora la chiamano così, ma per me non è una novità. Il grano per la pasta è coltivato nel terreno vicino a casa, che viene fertilizzato con il letame dell’allevamento da cui proviene la carne che compro alla macelleria Migno, sempre nei dintorni. Gli animali sono nutriti con cereali locali e non con mangimi chimici. Ma torniamo al grano: è macinato al Molino Silvestri di Torgiano, costruito dai monaci nel Mille, e ancora oggi la pietra è azionata ad acqua. Insomma, qui si vive come una volta. Sapesse quanto ho imparato anche dalla signora che ci aiutava in casa; è lei che mi ha insegnato a raccogliere e a usare le erbe spontanee». Per un attimo prende la parola la figlia Maddalena: «Me la ricordo! Si chiamava Leondina, era la nostra cuoca. Mentre la mamma le dava istruzioni per il pranzo, noi gironzolavamo intorno per rubare qualche boccone da pentole e piatti».

Il camino è in funzione da quando siamo arrivati. Per cosa lo usa?

«La brace è sempre accesa perché la usiamo per fare qualunque cosa, a partire dal pane tostato. Il camino è un pezzo fondamentale della nostra cucina. Penso di aver cucinato più carne alla griglia di un ristorante. Chiunque arrivasse, a qualunque ora, finiva per fermarsi a mangiare. Ed è ancora così, con i nipoti: qualcosa non va? Un piatto della nonna farà passare ogni pena».

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Benilde Mauri è ora impegnata nell’ultimo progetto di AGOP, La Casa a Colori, dove i piccoli pazienti del Policlinico Gemelli di Roma e le loro famiglie troveranno ospitalità e assistenza durante il periodo delle cure.

Non funziona solo con i nipoti, a quanto pare. Per lei la cucina è una forma di accudimento in generale. Tanto che fa parte del progetto AGOP (Associazione Genitori Oncologia Pediatrica), la onlus che ha fondato più di quarant’anni fa.«Tutto è nato da un’esperienza personale. Ho imparato molto guardando mia figlia Maura, che fortunatamente è guarita, e gli altri piccoli pazienti nel suo reparto. È stato allora che abbiamo deciso di realizzare un piano dedicato ai bambini al Policlinico Gemelli di Roma: c’è una sala per i giochi e i video, e una grande cucina dove i genitori possono preparare da mangiare per i loro figli».

Come è nata l’idea della cucina?

«In queste situazioni i genitori si sentono impotenti, non sanno cosa fare, glielo dico perché ci sono passata. Cucinare è un modo per sentirsi utili, per fare qualcosa di buono, che piace ai bambini. In questi anni ho visto molti papà ai fornelli e tanti stranieri assaggiare per la prima volta piatti italiani. La cucina è davvero una scuola di vita, un luogo dove le persone si incontrano e dove nascono nuovi sapori. La cucina riunisce, e la convivialità fa parte della vita. Ed è senz’altro una cura immediata ed efficace. Funziona sempre e consola tutti».

Preparazione del Ragù di Benilde (con gli influssi del Sud e della cucina toscana del marito).

«Soffriggo la cipolla tritata in olio e strutto, aggiungo i tre tipi di carne e faccio rosolare, poi aggiungo i pomodori. Condisco con sale e pepe. Un segreto della mia cucina: insaporisco con 1/2 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaino di uva passa, 1 cucchiaino di noce moscata. Completo con 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro. Il tempo minimo di cottura del ragù sono 4 ore, ma più cuoce meglio è. Ogni tanto controllo e aggiungo un po’ di acqua per mantenerlo fluido».

ragù

Ingredienti

1 kg di carne di manzo di tre tipi (macinata, braciole e biancostato)
1 kg di pomodori freschi e concentrato di pomodoro
1 cipolla, strutto, olio extravergine di oliva, cannella in polvere, uva passa, noce moscata, sale, pepe.

Preparazione dei Ravioli all’alchermes

«Preparo il ripieno: strizzo un po’ la ricotta, poi la amalgamo con gli altri ingredienti. Impasto gli ingredienti della sfoglia e la tiro lasciandola spessa in modo che il ripieno non la inumidisca troppo. Ritaglio una decina di dischi di 10 cm di diametro, li farcisco con il ripieno, li chiudo a mezzaluna e sigillo il bordo con i rebbi della forchetta. Spennello i ravioli con tuorlo leggermente sbattuto e li dispongo in una teglia. Li cuocio nel forno a 180 °C per 20‐25 minuti. Li sforno e li bagno subito con l’alchermes. Prima di servire metto lo zucchero a velo, ma poco perché non amo i dolci…».

raviolo alchermes

Ingredienti per 10-15 pezzi

Per il ripieno: 250 g di ricotta vaccina (quella di pecora è troppo forte)
50 g di zucchero
5 cucchiai di alchermes
1 tuorlo
1 cucchiaino di cannella,1 baccello di vaniglia, scorza grattugiata di 1 arancia
Per la sfoglia: 300 g di farina
2 uova
1/2 bicchiere di latte
2 cucchiai di zucchero.
Per completare: tuorlo, alchermes, zucchero a velo

Foto Giacomo Bretzel.

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