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Dalla foresta alla bottiglia: come nasce un tappo di sughero

Come nasce un tappo di sughero
Come nasce un tappo di sughero
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Come nasce un tappo di sughero

Dopo aver aperto una bottiglia di vino, prendendo in mano un tappo di sughero, abbiamo subito la sensazione di aver compiuto un gesto antico. Ed è verissimo. Ma è altrettanto vero che quel materiale così tradizionale è, in realtà, tra i più ecologici e avveniristici che l’uomo abbia a disposizione. Avveniristico perché richiede un alto livello tecnologico e di innovazione per essere utilizzato nel migliore dei modi. Ed ecologico perché le foreste di sughero rappresentano, in realtà, un elemento essenziale per la salvaguardia dell’ambiente e della macchia mediterranea.

Da migliaia di anni – le prime testimonianze risalgono ai tempi di egizi e babilonesi – la corteccia viene utilizzata dall’uomo come materia prima per preservare cibi e bevande, come isolante e come materiale decorativo. Oggi la produzione media di sughero nel mondo è di circa 200mila tonnellate: si concentra principalmente nel bacino del Mediterraneo occidentale, tra Portogallo, Spagna, Marocco, Algeria, Tunisia, Italia e Francia, con 2,1 milioni di ettari di foreste da sughero. L’Italia vanta una produzione media annua di circa 6mila tonnellate, principalmente destinata ai tappi, con circa 1 miliardo e mezzo di pezzi ogni anno. Almeno il 90% arriva dal nord della Sardegna, tra Tempio Pausania e Calangianus, in quella Gallura nota per vini straordinari.

Dalla quercia alla bottiglia

Da sempre il sughero, grazie alle proprie caratteristiche fisiche, è utilizzato per proteggere il vino, preservarlo e, al tempo stesso, permetterne l’affinamento. È leggero (pesa soltanto 0,16 grammi per centimetro cubo), ma anche elastico, comprimibile, impermeabile e imputrescibile. Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma veder nascere un tappo è uno spettacolo entusiasmante per qualsiasi winelover. Forse anche perché la quercia da sughero, il cui nome scientifico è Quercus suber L, è un albero antico e misterioso, evocativo di segreti che sembrano lasciarsi afferrare per poi sfuggire nuovamente. Attenzione alle parole: la sughera è l’albero sempreverde che può arrivare ad essere alto 20 metri e vivere più di 200 anni, la sughereta (o sughereto) è la foresta di sughere, mentre il sughero (vero e proprio) è lo strato più esterno e protettivo della corteccia che di anno in anno cresce aumentando in volume, in maniera molto simile all’accrescimento degli anelli nel tronco.

L’attività di decortica è un rituale antico, vigoroso, ma anche delicato. D’estate (quando sono prodotte le nuove cellule di sughero, la cui parete è ancora tenera e fragile) con un’ascia e incisioni precise, l’albero viene “spogliato” della corteccia senza intaccare in alcun modo il tronco sottostante. L’intero processo richiede una straordinaria cura e lentezza: dalla messa a dimora del seme al primo “raccolto” sono trascorsi circa 25 anni, nell’attesa che la pianta abbia raggiunto una circonferenza di almeno 60 centimetri misurata a 130 centimetri di altezza dal suolo. Il sughero “vergine”, il primo estratto, è utilizzabile solo per la produzione di oggetti decorativi o come isolante nell’edilizia. Dopo almeno 9 anni, l’intervallo minimo tra due raccolte, si ottiene il sughero “gentile”. Ecco perché bisogna aspettare almeno altri 10 anni per arrivare all’estrazione di più alta qualità (“amadia” o sughero da riproduzione) dalla quale si ricava, finalmente, il tappo intero. Da questo momento in poi la sughera potrà essere decorticata per tutto il suo ciclo vitale mediamente altre 15-16 volte. A fare questo, all’alba, quando il caldo ancora non è torrido, ci sono i “bucadori” che, con tocco deciso e sensibile e il loro sapere e la loro esperienza (è un’attività agricola tra le più pagate al mondo), riescono a non danneggiare né la corteccia né l’albero.

Dopo la raccolta il sughero viene selezionato e lasciato a stagionare all’aperto per almeno sei mesi, per poi essere ulteriormente lavorato attraverso varie fasi. Inizialmente esso viene fatto bollire in grandi vasche per essere pulito, appiattito ed aumentarne lo spessore e poi tagliato in larghe strisce. A questo punto, le strisce vengono perforate lateralmente per ottenere i tappi cilindrici di sughero naturale, mentre i residui sono trasformati in granulato.

I tappi passano poi la fase della rettifica e delle varie selezioni, realizzate con sensori ottici e laser, ma anche, in alcuni casi, dagli operatori, a vista e a …”naso”. Letteralmente.

Sughero e sostenibilità

Se portata avanti con rispetto e grande competenza, l’attività umana legata al sughero può essere pienamente compatibile con l’ambiente, rappresentando un vero esempio di economia circolare. Fattore di sviluppo economico e sociale per diverse zone del Mediterraneo, rappresenta la combinazione di una tradizione secolare e di una delle più moderne tecniche dell’industria del futuro, che segue la strada della sostenibilità. Oltre a produrre un reale servizio ambientale (conservazione del suolo, regolamentazione del ciclo dell’acqua, riduzione dell’emissione del carbone e protezione della biodiversità), viene utilizzato un processo green, perché nessun albero viene tagliato.

Le foreste di sughero sono uno dei pochi esempi di una silvicoltura totalmente sostenibile: per ciascuna tonnellata di sughero estratto può essere catturata, nella foresta una quantità di carbonio equivalente a 73 tonnellate di CO2 dell’atmosfera. Esse rappresentano inoltre uno dei 36 hotspot di biodiversità, in quanto costituiscono l’habitat naturale per eccellenza di moltissime specie animali e vegetali. Attraverso la raccolta sostenibile, infine, l’industria del sughero sta aiutando a combattere il cambiamento climatico preservando le più grandi foreste di querce d’Europa. Per comunicare tutto questo, soprattutto a un pubblico giovane e sensibile ai temi ambientali, è ripartita in Italia e in altri sei Paesi (Spagna, Germania, Regno Unito, Francia, Cina e Usa) la campagna internazionale di promozione del sughero, sostenuta  da Apcor (Associazione Portoghese del Sughero) e, per l’Italia, da Assoimballaggi-Federlegno/Arredo.  «Siamo entusiasti del nostro lavoro», racconta Alessandro Canepari, coordinatore del Gruppo sughero. «Nella piena consapevolezza che questo è un settore centrale per l’economia del nostro Paese sia in termini di innovazione sia per la grande attenzione che i produttori di sughero stanno dedicando al tema della sostenibilità del materiale e del suo uso e riciclo».

In Italia, la campagna è accompagnata dal claim: «La vita in un sughero», nell’intento di raccontare attraverso attività digitali e in presenza le tante vite che caratterizzano un tappo di sughero: la vita che inizia dagli alberi nei sughereti, la vita degli animali che abitano in armonia con questo ecosistema, la vita degli esperti decorticatori da cui inizia il processo produttivo e la vita di tutti noi, quando stappiamo una bottiglia di vino. Con la consapevolezza del mondo che c’è dietro…

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