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Delle cozze non si butta niente. Neanche il guscio

Nieddittas
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Buone da mangiare, ma difficili da smaltire. Forse non tutti sanno che lo smaltimento delle cozze, o meglio dei gusci, comporta notevoli problemi. Chi non sta sottovalutando la questione, ma anzi, sta cercando nuove vie il più sostenibili possibile per riciclare e ridurre al massimo gli scarti è la Cooperativa Pescatori Arborea del Golfo di Oristano, produttori delle cozze Nieddittas.

Nieddittas e la Cooperativa Pescatori Arborea

La Cooperativa nasce nel 1967 grazie alla lungimiranza di nove pescatori che intuiscono quanto l’unione possa fare la loro forza. In particolare, capiscono il potenziale e l’importanza di curare tutta la filiera di un prodotto così delicato. Da qui il marchio Nieddittas, che in dialetto significa “nerette”, il vezzeggiativo del colore nero dei mitili. Nel tempo l’azienda è cresciuta notevolmente, arrivando a produrre ogni anno 14 mila tonnellate di cozze che crescono nel Golfo di Oristano, dove acquisiscono un alto grado di salinità (42%), tipico di queste acque, che determina la loro caratteristica principale: essere cozze molto saporite. Dopo la raccolta, tutte le fasi della lavorazione avvengono negli stabilimenti dell’azienda, che garantisce così una rintracciabilità totale. Infatti è la prima azienda in Italia e l’unica in Sardegna ad aver ricevuto la Certificazione di prodotto per tutta la filiera, quello stesso che arriva sulle nostre tavole in 24 ore, o al massimo 48 dal mare.

Il pane delle orate

Oltre alle cozze, il marchio Nieddittas vende anche spade, cernie, ricciole, ombrine, seppie, totani, polpi, morene, gamberi, calamari e così via con il pescato del mare locale. Gli unici allevamenti presenti sono quelli di orate (e branzini); allevamenti che però non possiamo definire affatto intensivi, poiché le orate vengono nutrite con gli scarti di cozze rotte o non commerciabili per motivi estetici. In questo modo, si evitano mangimi e pellet, si ricicla uno scarto e si restituisce all’orata quello che mangerebbe in natura; le orate, infatti, sono naturalmente grandi predatrici di cozze, di cui succhiano a lungo la polpa. Così si chiude un cerchio, consegnandoci orate che, seppur di allevamento, hanno vite, sapori e consistenze che ricordano quelle di mare.

Gusci: umido o indifferenziato?

Per i gusci, invece, ci sono una serie di complicazioni, poiché costituiscono un rifiuto alimentare a sé. Da un lato, infatti, vengono considerati umido perché di origine animale; dall’altro, però, sono di pietra calcarea, quindi di un materiale non solo non biodegradabile, ma anche con tempi di smaltimento lunghissimi. Per questo, andrebbero buttati nell’indifferenziato, ma in alcuni comuni viene considerato sbagliato, come ad esempio in Sardegna, dove quindi si continua erroneamente a metterli nell’umido. «Abbiamo provato a mettere i gusci nell’indifferenziato, che sarebbe per noi il secco, e non ce l’hanno proprio ritirato! Per questo continuiamo, sbagliando, a buttarli nell’umido». In attesa che la situazione venga regolarizzata, ci sono delle alternative interessanti su cui sta lavorando la Cooperativa Pescatori Arborea.

Piastrelle di cozze

Per tutti questi motivi, sono in corso una serie di esperimenti per cercare di riciclare i gusci nella bioedilizia, in particolare sottomarina. Infatti, i gusci delle cozze potrebbero davvero costituire un importante materiale di costruzione per piastrelle e mattoni, vista la grande resistenza che hanno. Sulla costa adriatica, dove anche lì è molto diffusa la mitilicoltura, pare che abbiano già iniziato a recuperare in questo senso i loro mitili. La stessa strada che sta per imboccare anche Nieddittas.

La seta del mare

Oltre a polpa e guscio, c’è anche un’altra parte delle cozze che si può riciclare: il bisso, quel fascio di filamenti che consente alle cozze di attaccarsi alle superfici quali rocce, legno o scafi delle navi. Si tratta di una fibra tessile da cui si ricavano tessuti già da tempo nel Mediterraneo, dove viene chiamata “la seta del mare”. Ma l’utilizzo in ambito tessile non è il solo: alcuni ricercatori stanno studiando una possibile replica della struttura dei filamenti di bisso per fissare strumentazioni a edifici o a sommergibili, per eseguire suture chirurgiche, o per far aderire i tendini alle ossa.

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