Il nome parla chiaro: il burrel (talvolta scritto burrell) è un formaggio che rimanda al burro. Per scoprire perché, bisogna indagarne le origini, chiedendo all’unico produttore rimasto nel centro Italia a realizzarlo: l’Agricola San Maurizio di Settefrati. Siamo in una porzione di Lazio ancora poco conosciuta, a ridosso del Parco Nazionale di Lazio, Abruzzo e Molise, vicino a Frosinone, in un triangolo tra Settefrati, Picinisco e Atina. Qui, nel giro di pochi chilometri, si producono moltissime prelibatezze enogastronomiche, tra cui appunto il burrel.
Cos’è il burrel
Si tratta di una scamorza al cui interno si possono reperire grumi di burro, che nascono spontaneamente dalla lavorazione del latte di mucca. Il risultato è una scamorza da gustare da sola, da cuocere alla piastra o sulla brace, da aggiungere nella preparazione di ricette. Il sapore rimane delicato, ma particolarmente goloso. A realizzarlo c’è Anna Farina, formaggiaia dell’Agricola San Maurizio, che si è stabilita nella zona di Settefrati oltre 30 anni fa e qui realizza formaggi a latte crudo di grande qualità, tra cui il pecorino di Picinisco certificato Dop., la ricotta salata, la marzolina, la ricotta fresca e il primo sale.
In questa zona, come dimostra la restante produzione del caseificio, non è presente una tradizione di pasta filata, e tantomeno di burro. Ma Anna ricordava una ricetta preparata dalla bisnonna di questa scamorza, che creava piccole porzioni di burro all’interno della sfoglia. Così, dopo moltissimi tentativi, ha potuto riproporre questo formaggio a pasta filata circa dieci anni fa. Il burrel si ottiene dalla lavorazione manuale del latte di mucca e dall’affioramento naturale della sua parte grassa. La produzione è organizzata su due giorni: a partire da una pasta cotta, grazie all’immissione di acqua bollente, la pasta diventa calda, ed è possibile lavorarla a mano molto velocemente per filarla, mozzarla e formare le scamorze. Questo procedimento viene svolto completamente a mano, con le mani immerse in acqua fumante. Poi i burrel vengono chiusi nello spago a gruppi di 2 o 3 e possono essere mangiati freschi, per una decina di giorni.
Alla base della riuscita di questo formaggio, come degli altri dell’Agricola, c’è la forte tradizione pastorale della zona e della famiglia che gestisce il caseificio. Gli animali, principalmente pecore e una quarantina di mucche, sono tenuti al pascolo e portati ogni estate in transumanza fino alla Valle di Mezzo. Qui si apre un paesaggio mozzafiato, tra boschi secolari e stazzi, le aree di sosta dei pastori per la tenuta degli animali. A guidarli c’era prima Marcello Pia, il marito di Maria, oggi il figlio Antonio che ne ha ereditato il mestiere. E, ancora, a gestire il caseificio, fare ricerca e innovare c’è Maria, la figlia di Anna e Antonio, grandissima appassionata di formaggi e instancabile promotrice di questo territorio, la cui sopravvivenza si basa anche sul recupero e la trasmissione di usanze rurali e pastorali ormai in declino.
Il burrel nasce proprio dalla combinazione di questi elementi: la tradizione pastorale di questo distretto, il recupero di un’antica ricetta che sarebbe andata altrimenti perduta, la salvaguardia e il recupero di razze animali autoctone, la grande passione di pastori e formaggiai, e una vita vissuta in simbiosi con gli animali, che possono pascolare liberamente, nutrendosi della biodiversità dei terreni circostanti e delle valli, che conferisce al latte particolari sapori e profumi.
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