Ogni regione (addirittura ogni paese!) ha le proprie usanze, ma se c’è una tradizione che mette d’accordo tutta l’Italia è quella secondo cui alla vigilia di Natale non si porta in tavola la carne. La sera del 24 dicembre è il trionfo dei piatti a base di pesce oppure di formaggio.
Ma perché la Vigilia è considerata un giorno di «magro»? Anche se spesso si dice che le origini di questa tradizione affondino nel Vangelo e nei testi sacri, secondo cui astenersi dalla carne sarebbe una forma di rispetto per la nascita di Gesù (come, a Pasqua, per la sua morte), la realtà è diversa. La rinuncia alla carne il giorno prima di Natale è soprattutto un’usanza popolare.
È vero che il Codex Iuris Canonici, nel 1917, aveva effettivamente prescritto l’astinenza dalla carne e il digiuno nei giorni della vigilia delle solennità di Pentecoste, dell’Assunta, di tutti i Santi e del Natale, ma la Costituzione Apostolica Paenitemini, firmata nel febbraio 1966 da Paolo VI, superò queste indicazioni, e stabilì che il digiuno fosse necessario solo il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo, e l’astinenza dalla carne tutti i venerdì dell’anno, ma non più nelle vigilie.
Quest’anno il 24 dicembre cade di domenica: nemmeno i più religiosi sono obbligati a rinunciare alla carne. Inoltre, ci sono comunque tante eccezioni previste dalla Chiesa: si è tenuti al digiuno dai 18 ai 60 anni (l’astinenza, invece, parte dai 14). E, a essere precisi, nei giorni stabiliti, sono vietati, oltre alla carne, anche quei cibi o quelle bevande che «a un prudente giudizio sono da considerarsi come particolarmente ricercati o costosi». Ecco perché l’idea di ripiegare sul pesce come alternativa più «austera» alla carne suona un po’ buffa: i piatti di crostacei, vongole e cozze sono altrettanto, se non ancora più sontuosi e ricchi.
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