Non ci cimentiamo sull’annoso tema se la cotoletta – anzi la costoletta – sia stata la variante milanese della Wiener Schnitzel austriaca o al contrario siano stati i cuochi della Madonnina a ispirare i colleghi d’oltralpe. Tanto, all’epoca il Lombardo-Veneto era sotto l’Impero quindi poco importa e in ogni caso, la nostra è a base di carne di vitello e la loro di maiale. Meglio discutere sull’amletica scelta iniziale: alta o bassa? Noi sosteniamo che dipenda sempre dalla visione del cuoco, ponendo alcuni paletti indiscutibili. Per esempio, anche nella variante “a orecchio di elefante” – quella larga e sottile – la carne non va battuta eccessivamente, altrimenti con la panatura si rischia di perdere il gusto della carne e mangiare solo ‘pane e uovo fritto’ – Cracco dixit. Per i puristi, niente orpelli o condimenti: limone e rosmarino, pomodorini e rucola, sono da bandire.
Marchesi, l’avanguardia
Al di là dei puristi, una nota sulla cotoletta di Gualtiero Marchesi è più che necessaria. Il Maestro si era spinto oltre ai tempi di via Bonvesin della Riva. Il maestro racconta così l’intuizione: “Facevo la costoletta alta quanto l’osso, ma la gente spesso non capiva, ignorando che deve essere fuori croccante e dentro rosata, così restano intatti i succhi della carne e il sapore. Si lamentavano che non era cotta. Allora nel 2000 decisi di tagliare la carne a cubetti di pochi centimetri, uno dei quali con l’osso attaccato. Così, cucinati per immersione nel burro chiarificato, arrivavano belli dorati in tavola, e nessuno osò più dire niente”. In qualche caso – lo ricordiamo – venivano ricomposti a formare il piatto tradizionale ma il top resta quando si servivano in un piatto fatto disegnare apposta dal Maestro, con le posizioni già segnate per i singoli pezzi e delle piccole ombre. Geniale.
Cracco style
A proposito dello chef veneto, è uno dei pochi ad aver avuto il coraggio di ragionarci su e proporla in versioni fuori dalle regole. Famosissima la “Milano sbagliata“, dove panatura e fettina di fassona (giovane, meno di due anni) si presentano separatamente. Non c’è nella carta del ristorante in Galleria ma in compenso potete assaggiare quella del Bistrot. Non è classificabile per un’eventuale graduatoria: manca dell’osso ed è una ‘fettona’ di vitello, perfettamente impanata e cotta. Morbida, buonissima, anche senza intingere i pezzetti nella salsa rosa.
Vitello il top, però anche il maiale…
Poi ci sono segreti e tecniche sulla ricetta. “Naturalmente ci vuole la lombata di vitello – dice lo stellato Claudio Sadler – ma non disdegno nemmeno il maiale, che è molto gustoso e se italiano, pure bello magro: e in quel caso invece di Milanese la chiamo Maialese. Comunque scelgo il vitello, lo impano nel solo tuorlo, poi in un misto di pane d’Altamura grattato e panko giapponese, che la fa diventare più croccante. Tutto va fatto al momento, così la panatura non ha tempo di inumidirsi e non rischia di staccarsi. Infine la servo tagliata a fette – così si evidenzia la cottura, con la carne che resta rosea all’interno – e cosparsa di sale Maldon. Chi viene al Chic n’ Quick, può sceglierla alta o bassa”.
Le certezze a Milano…
Oltre a Sadler, dove gustarla sotto la Madonnina? Per esempio, al suggestivo Ratanà (ma solo su prenotazione, con due giorni di anticipo!) o in altri due posti cult per gli appassionati come il rinnovato Liberty e la Trattoria del Nuovo Macello dove è servita in versione alta, con la cottura rosata. Più chic quelle a Terrazza Gallia (per due, porzionata al tavolo) e Osteria con Vista sul tetto della Triennale. Le ‘medie’ sono ben rappresentate da Arlati in periferia, Osteria Brunello in corso Garibaldi e Nuova Arena che ha il merito di averla fatta scoprire (con successo) al divino Messi il giorno seguente una della tante sfide Milan-Barcellona ma conviene chiederla senza rucola e pomodorini… Tra le versioni basse – uregia d’elefant o simili – segnaliamo quelle di Testina, Il Ronchettino, Al Garghet, L’Altra Isola – dove è noto il fatto che sia preparata da un cuoco cinese, allievo del patron Gianni Borrelli – e dell’Osteria alla Grande che fra tutti i posti segnalati è il più popolare come ambiente, clientela e atmosfera.
…e quella fuoriporta
Le migliori costolette nel raggio di 30 km? Per noi, quella intramontabile dell’Antica Trattoria del Gallo a Gaggiano (chapeau al patron Paolo Reina che la propone sia alta sia battuta), borgo che offre anche quella del Magenes dei fratelli Guidi. Poi non deludono mai quella del monzese Derby Grill de l’Hotel de la Ville, lo stellato Pomiroeu a Seregno. Infine, se siete ‘maniaci’ del piatto e volete togliervi lo sfizio una volta nella vita sappiate che i Cerea nel tre stelle Michelin di Brusaporto – Da Vittorio – servono la “loro”: molto bassa ma con un diametro di circa 50 cm, a base di sanato piemontese. Per impanarla si usano otto uova, mezzo chilo di pane bianco grattugiato e un etto di grissini torinesi. Quanto al burro chiarificato, si arriva serenamente a sfiorare il chilogrammo nei vari momenti della preparazione. Favolosa.
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