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I capperi di Pantelleria: storia e produzione

Cosa dobbiamo sapere sui capperi

Sapidi, aromatici, crescono solo dove la terra è baciata ardentemente dal sole, i capperi. La loro prima menzione gastronomica se la aggiudica niente meno che la Bibbia. Ma è Nicolo de’ Nicolai, cameriere e geografo del Re di Francia, che intorno alla metà del XVI secolo porta agli onori della cronaca quelli di Panthalarea (antico nome di Pantelleria) «dove fa gran copia di cottone e capperi, fichi, melloni e buona uva…». Oggi il 78% dei capperi pregiati nostrani si coltivano su quest’isola (2000 quintali l’anno, per un prodotto che si fregia dal 2010 del marchio Igp) e a Salina (circa 400 quintali l’anno, Presidio Slow Food dal 2020). A raccontarcelo è Rosario Cappadona, uno dei 250 coltivatori della Cooperativa Agricola Produttori capperi (capperipantelleria.com). Qui la pianta del Capparis spinosa è stata selezionata fin dall’Ottocento per ottenere la varietà Inermis, cultivar Nocellara, caratterizzata «da mancanza di spine, un bottone fiorale piccolo, compatto perché pieno di stami, che la rende più pregiata oltre che più docile alla raccolta».

Una volta avviata la coltivazione, i capperi ricevono le stesse cure riservate alla vite: « Il terreno viene lavorato e concimato in inverno e le piante potate. Si raccoglie all’alba, da metà maggio a fine settembre. Poi, a fine giornata, si depongono i boccioli in appositi tini a maturare lentamente, in salamoia, con procedimenti tramandati di padre in figlio. La chiave è il sale marino che fa sprigionare loro la caratteristica fragranza».

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