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La biodiversità e la cultura gastronomica italiana

La cucina italiana è uno straordinario laboratorio di biodiversità culturale. Suo elemento  distintivo è la pluralità delle esperienze: prodotti, saperi, ricette, gusti cambiano a ogni voltata d’angolo. Ogni città grande o piccola, ogni campagna, ogni territorio ha  i suoi. A regalarci tutto questo è stato il magico intreccio tra geografia e storia. Da un lato il paesaggio, differenziato come nessun altro al mondo: uno scenario che cambia in spazi ristrettissimi, fra pianure e colline, mari e montagne; una forma allungata  che  rapidamente ti porta dal centro dell’Europa al cuore del Mediterraneo. Dall’altro lato la storia, vicende complesse, talora anche drammatiche, che su questo territorio hanno visto incrociarsi genti e culture diverse, attitudini e abitudini che si sono sovrapposte e mescolate, in modo anche conflittuale ma, alla lunga, fruttuoso e creativo.

La molteplicità delle risorse naturali e delle impronte culturali ha dato vita a una varietà di esperienze che è la vera cifra distintiva della cucina italiana come, più in generale, della nostra cultura, in tutte le sue declinazioni. Una cultura ramificata, capillarmente distribuita sul territorio, senza vere «capitali», senza gerarchie di valori: chi potrebbe dire se è migliore la cucina napoletana o quella bolognese? O quella del Salento o delle Langhe? Sarebbe come chiedersi se è migliore Raffaello o Tiziano. A quella domanda non c’è risposta, perché le cucine italiane sono semplicemente diverse.
Ma allora, una cucina «italiana» non esiste? Qualcuno si ostina a pensarlo, come se la diversità delle culture locali ne facesse dei mondi a sé, orgogliosamente chiusi nella propria identità. Non è così. Ogni identità si nutre mettendosi in gioco e confrontandosi con gli altri. La pluralità delle esperienze gastronomiche è cresciuta e, storicamente, ha trovato un senso proprio intessendo rapporti, scambi, incroci con esperienze diverse. Le realtà particolari hanno interagito in una rete, alimentando uno spazio di condivisione e di arricchimento reciproco che non è solo quello del web in cui oggi navighiamo, ma quello ben più antico dei saperi, delle ricette, dei mercati che per secoli hanno costituito il tessuto della cucina italiana; lo spazio delle famiglie che hanno conservato e trasmesso saperi in evoluzione; lo spazio dei cuochi che hanno girato il Paese così come lo hanno girato pittori, musicisti e letterati, ovunque portando la loro cultura, ovunque arricchendosi di nuove esperienze. È un paradosso, ma tant’è: la cultura italiana – anche quella gastronomica – trova il suo più autentico senso unitario nella varietà (condivisa) delle sue esperienze.

Massimo Montanari
Massimo Montanari è professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, dove ha fondato il master Storia e cultura dell’alimentazione. Presiede il comitato scientifico incaricato del dossier di candidatura della «cucina di casa italiana» all’Unesco.

L’Italia delle cento città e dei mille campanili è anche l’Italia delle cento cucine e delle mille ricette, e solo un inguaribile campanilismo (a volte pure divertente, purché non scada nel rivendicativo) può reclamare la priorità di questo o di quello. A chi si perde in queste schermaglie è utile ricordare che la bellezza di un mosaico non sta nelle singole tessere che lo compongono, ma nell’immagine che tutte insieme vanno a restituire.

Testo di Massimo Montanari

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