A Pantelleria la raccolta dei capperi è uno degli atti d’amore più grandi che si possa fare nei confronti di questa terra. Lo sa bene Gabriele Lasagni del capperificio Bonomo & Giglio che, d’origine emiliana, ha deciso di investire tutto su questo territorio e di diffondere i capperi di Pantelleria nel mondo.
«In realtà quasi tutti gli abitanti dell’isola ne hanno almeno qualche pianta, anche perché non c’è nulla con cui i panteschi si identifichino di più». Ma nel tempo moltissimi hanno abbandonato questa coltivazione, perché si tratta di una delle raccolte più difficili e faticose che ci sia. «Eppure continuare a coltivare i capperi, così come le vigne, significa provare a tenere in vita cultura, tradizione e territorio di quest’isola».
La questione dei margetti e dei muretti a secco dove si coltivano i capperi
Spesso ci soffermiamo sul risultato finale, cioè sul prodotto che ci giunge in tavola e ignoriamo quanto il processo di produzione di alcune materie prime sia fondamentale per l’intero territorio in questione. È quello che accade a Pantelleria, dove portare avanti questa raccolta è fondamentale per tutta l’isola, in particolare per la questione dei muretti.
«Pensate che ci sono ben 12 mila km di muretti!».
Qui, infatti, i campi dove si coltivano i capperi sono suddivisi nei cosiddetti “margetti”, che sarebbero quei piccoli terreni che sono stati ricavati costruendo muretti a secco, strappando quindi terra fertile all’isola. «I margetti (margetti se piccole strisce, invece garche se appezzamenti più grandi) sono spesso su pendii che non potrebbero essere coltivati se non appunto “smorzando” la pendenza, cioè creando un sistema di muretti a secco che permettono di creare terrazzamenti coltivabili», ci spiega Gabriele. «Per questo il mantenimento dei muretti a secco è fondamentale, cioè per evitare che il terreno tra essi contenuti scivoli a valle con l’acqua piovana invernale; se non ci fossero, non si sarebbero potute creare zone di terra coltivabile e Pantelleria non avrebbe mai potuto sviluppare un’economia agricola che fino alla metà del secolo scorso è stata la principale fonte di sostentamento dei panteschi», continua Gabriele.
Inoltre, se oggi non si preservano i muretti a secco il territorio risulterebbe molto più degradato e di difficile gestione, anche ad esempio per l’annoso problema degli incendi. Dunque continuare questa coltivazione significa proprio questo, cioè mantenere un intero territorio, evitando una serie di reazioni a catena. Questo è molto importante anche per il turismo sull’isola, che spesso ignora questo lato, ma che allo stesso tempo è la principale fonte di guadagno.
Che cappero si coltiva a Pantelleria?
Al mondo ci sono circa cento varietà di capperi, ma quello che si è adattato a questo territorio e che si coltiva ancora unicamente qui è uno solo: il Cappero di Pantelleria IGP, Capparis spinosa, varietà Inermis, cultivar Nocellara.
Quello che mangiamo di questa pianta, come forse in molti già sapranno, non sono i frutti, che sarebbero i cucunci, ma il fiore: «è chiamato il fiore del tramonto perché sboccia la sera e rimane aperto tutta notte, poi coi primi caldi del mattino appassisce e muore, dando però vita al cucuncio». Durante la raccolta, però, è molto importante togliere il fiore aperto e sbocciato per non far andare a frutto la pianta: «se infatti la pianta va a frutto, nel senso che lasciamo il fiore, permettiamo alla pianta di ingrossare il cucuncio fino a farlo maturare, e facciamo sì che la stessa perda di vigore e produca meno fiori, quindi capperi, di quanti potrebbe produrne se non andasse a frutto», continua Gabriele.
Inoltre, i capperi di Pantelleria hanno una sapidità e un profumo unico, che si distingue da tutti gli altri. Lo si nota bene nel piatto simbolo dell’isola, l’insalata pantesca, dove il loro aroma si sparge tra patate bollite, pomodori, cipolla, olive, olio e origano, rigorosamente di Pantelleria. Ma non solo capperi: l’amore di Gabriele per questa pianta si traduce anche nel tentativo di non buttare via nulla: è stato lui, infatti, il primo a utilizzare anche le foglie e i germogli, ormai due prodotti sempre più diffusi, insieme alla polvere e alla granella di cucunci.
L’azienda Bonomo & Giglio
Gabriele Lasagni nasce e cresce in Emilia. Si laurea in Filosofia, per anni si occupa di altro, finché non incontra la donna della sua vita, d’origine pantesca. Ed è lei a farlo innamorare di questo mondo: «quando ho conosciuto mia moglie, la sua famiglia aveva già l’azienda Bonomo & Giglio, con cui suo nonno vendeva uva fresca e capperi ai grossisti». Ma Gabriele ci vede subito un potenziale in più: gli bastano qualche estate e soprattutto qualche inverno (il suo periodo preferito sull’isola) per innamorarsi di questa pianta, cambiare vita e investire tutto su questo produzione, deciso a esportare il cappero come simbolo dell’isola in tutto il mondo.
In pochissimo tempo aumenta la produzione, acquista il laboratorio artigianale La Nicchia per chiudere la filiera (dal terreno al barattolo) e dopo alcuni anni lo ingrandisce dandogli organizzazione. Qui, ancora oggi di fianco alla casa storica di famiglia, avviene tutta la fase di lavorazione dopo la raccolta. «Avrei potuto completare alcune fasi altrove, ad esempio in Emilia dove viviamo per gran parte dell’anno, sarebbe stato sicuramente più semplice!», dice Gabriele, «ma ho voluto chiudere tutta la filiera con tutte le fasi di produzione qui, su questo territorio, perché non volevo depredare un’isola della sua ricchezza, cercando di reinvestire sempre sull’isola stessa».
E così continua a fare, visto che ogni anno investe quello che guadagna sempre a Pantelleria, in nuovi terreni, recuperando così ettari abbandonati e contribuendo a rendere più bella un’isola già bella. E di recente, sempre nella stessa ottica, un’altra grande novità: l’apertura del Museo del Cappero, inaugurato nell’estate del 2021. Questa meravigliosa struttura nasce in un tipico dammuso pantesco, un luogo intriso di storia, antropologia e cultura sul cappero, suddiviso in quattro aree esperienziali: dagli antichi oggetti che ha ritrovato al percorso olfattivo, con foto, video, spiegazioni, informazioni. E a breve, sempre qui, organizzerà anche dei capperitivi, ovvero degli aperitivi con una degustazione a base di tutti i prodotti che la Bonomo & Giglio produce e vende ricavandoli da questa pianta. Ma in tutto questo splendido percorso di Gabriele per valorizzare il cappero di Pantelleria nel mondo c’è un problema: trovare persone che raccolgano i capperi.
Le difficoltà della raccolta dei capperi
La raccolta dei capperi di solito inizia a fine maggio, «ma dipende dalle annate e dal tempo», ci spiega; poi prosegue fino a fine agosto inizio settembre. Si comincia di notte, intorno alle tre e mezza perché poi fa troppo caldo e si va avanti fino alle nove e mezza – dieci. «Già questo è uno dei primi problemi, che ha portato all’abbandono e alla difficoltà di trovare personale. Anche se in realtà per me c’è un lato poetico, perché godi del silenzio più totale del mattino, al fresco, immerso nel profumo dei capperi, in ginocchio come in preghiera…».
Inoltre, il personale dev’essere esperto e competente, perché per raccogliere i capperi ci vuole delicatezza, cura, attenzione e pazienza. «Per questo sono meglio le donne!», continua Gabriele. Non da meno è la posizione di raccolta: sempre chinati, perché la pianta del cappero è bassa, così come con le vigne e ulivi, che vengono tenuti appositamente così a causa dei forti venti che colpiscono spesso l’isola.
A questo di recente si sono aggiunti anche due insetti infestanti: una mosca, che proprio come con gli ulivi in Puglia, buca il cappero, depone le uova nel bocciolo e fa sì che il verme si nutra dello stesso, distruggendolo; e una cimice di origine sud africana, che ha danneggiato moltissime coltivazioni, la Bagrada Hilaris, fa necrotizzare le foglie in quanto succhia la linfa delle stesse.
Infine, non ultimo dei problemi, gran parte dei terreni sono sparsi ovunque per tutta l’isola, molti sono abbandonati, perché come ci spiega Gabriele l’aspirazione dei panteschi è lavorare nel turismo e più continuare a fare gli agricoltori. «Eppure questa è un’isola di terra, il mare ha sempre rappresentato un pericolo». Per questo continuare a coltivare i capperi così come le vigne rappresenta l’atto di amore più eroico che si possa continuare a fare nei confronti di quest’isola.
“Erano mani rovinate dalla terra, mani bruciate dal vento che qui muove ogni cosa,
mani che sapevano di sale e che raccontavano storie di un isola lontana.
Erano mani che a volte non hanno potuto fare altro che giungersi in preghiera e sperare che la terra desse qualche fiore, mani che accompagnavano ogni giorno quel gesto quasi mistico di piegarsi la mattina e la sera in ginocchio su un terreno sassoso quasi nero per raccogliere gemme verdi.
Erano mani così quelle che nel 1949 hanno dato vita alla Bonomo & Giglio, che ancora oggi raccoglie e lavora quelle piccole perle verdi che sono i capperi, di Pantelleria.
Erano e sono mani così quelle che amalgamano ancora oggi queste perle con altri gioielli della terra e del mare secondo antiche preparazioni, che racchiudono il gusto autentico del mediterraneo e della nostra storia.L’alba è appena spuntata. Un ginocchio a terra, l’altro piegato come per chiedere una supplica; seduti sui talloni o curvi come un arco, così i contadini panteschi iniziano a raccogliere i capperi.
I movimenti delle mani sono veloci, bisogna fare in fretta prima che il sole diventi troppo caldo e insopportabile…..
E’ uno dei lavori più faticosi che ci siano, che spezza le gambe e la schiena.
Così nascono i nostri prodotti: capperi al sale e sott’olio extravergine, patè pesto e salsa di capperi, patè di pomodori secchi e capperi, cucunci al sale e sott’olio, patè di olive verdi e nere, marmellate di agrumi….”
Gabriele Lasagni
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