«Tutti ormai lo chiamano Pastizz», quel profumo che invade le stradine a chiocchiola e arriva in cima per tuffarsi dal Balcone dello Jonio in un mare di gusto. Mi perdo nell’orizzonte per tentare di indagare il mistero goloso del pastizz r’tunnar: la mezzaluna ripiena di carne che dà sapore a Rotondella. Un PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) della Basilicata che ha segnato così profondamente la storia del paese da definirne gli abitanti: pastizzar.
Se ti metti nei pasticci lucani…
«Quando si è in un pasticcio, tanto vale goderne il sapore», raccomanda Confucio e a maggior ragione se i “pasticci” sono tanti. In Basilicata, infatti, quest’antica forma di tagliare in piccoli pezzi il cibo e farne dei ripieni avvolti in uno strato di “pasta” sembra essere tutta una squisita questione linguistica da disquisire. Mi impasticcio al solo pensare di addentrarmi in questa mescolanza di lingue tutta lucana, in cui a tavola si avvicendano i Greci, i Romani e i Barbari.
I pasticci lucani si dividono tutti in falahòni, in italiano “falagoni” e presenti nel nord-ovest della Basilicata e sulla costa jonica, e pastizz, in italiano “pasticcio”, presente solo a Rotondella. La vexata quaestio si complica se si parla di cauzon, l’italiano “calzone”, pietanza tradizionale dolce o salata, che si prepara a Pasqua e a Natale in tutta la regione che, dalla tavola ai confini, sembra così ossessionata dai nomi da averne due: l’antico Lucania, da cui viene l’aggettivo, e il più recente e comune Basilicata.
In questa babele di gusto avrei bisogno del don Ciccio di Gadda per investigare “quer pasticciaccio…” in cui mi sono infilata, ma, poiché non ho l’arguzia né la padronanza del caso, mi accontento di “interrogare” qualche testimone.
La versione di Simona, della Locanda Pane e Lavoro in Rotondella, afferma che devo impastare insieme 1 chilo di semola rimacinata, 1 litro e mezzo di acqua, 1 cucchiaio scarso di sale e 1 bicchiere di olio extravergine d’oliva. Anche se confessa che la versione originale vorrebbe 100 grammi di strutto. Devo ottenere una palla dura e liscia, lasciar riposare 25-20 minuti e tagliarla in pezzi grandi «quanto un palmo di mano», lavorarli fino a ottenere 10 palline da lasciar riposare per 30 minuti. Ed è da questo momento in poi che si decide se creare un Pastizz o un Falagone, un PAT di Rotondella o un PAT della Basilicata.
Da “pasticcio” qual è, ciò che caratterizza u’ pastizz r’tunnar’ è il ripieno: piccole parti di carne tagliata al coltello. Si chiama pastizz sé è ripieno di carne, altrimenti è un falagone. E Simona ci tiene molto alle parole, tanto che il nome del suo ristorante, così come il ripieno del pastizz, ha una storia: i nonni del marito Mimmo parteciparono al movimento di lotta per l’occupazione delle terre che portò alla riforma agraria in Basilicata nel 1950. Quei contadini volevano solo “Pane e lavoro”. Ma questa è un’altra storia… La storia del Pastizz è molto più lontana, non si conosce l’origine. Si sa da sempre che si fa con pezzi di agnello a Pasqua – quale migliore animale simbolico? – e con pezzi di maiale a Natale, festa sempre vicina al rito dell’uccisione del maiale, come testimonia Anna del forno Bontà nostrane di Marina di Nova Siri. Da quando la disponibilità di carne è diventata più comune non c’è giorno di festa o data importante che non si festeggia col proprio pastizz.
Il ripieno di Simona, così come di tutte le donne di Rotondella da cui ha imparato a fare lo speciale calzone, è fatto da un chilo di carne (il taglio ideale sarebbe il capocollo di maiale) condita con formaggio a pasta dura e abbastanza stagionato, come il Canestrato di Moliterno, olio extravergine, prezzemolo tritato grossolanamente. Il tutto amalgamato con 3-4 uova e speziato con sale e pepe.
Se, invece, vuoi creare un falahòne, devi riempirlo con bietola, patate, uova, peperoni e cipolla. Sempre olio extravergine d’oliva, sale e pepe a piacere. Sembrerebbe la versione veg e light del pastizz. Non è un caso che Anna di Nova Siri, discepola della propria mamma nella preparazione di pastizz e falagoni, racconta che il ripieno di verdure si metteva durante la Quaresima, nei giorni di magro. E cosa importante, esiste anche una variante tradizionale dolce, un altro PAT che si chiama Pastzzott di Nova Siri, con un ripieno di ceci, mandorle, miele e cacao amaro. Dolci rigorosamente natalizi. Sempre Anna sostiene che il falagone puoi trovarlo a Policoro, Nova Siri, Tursi, Colobraro, Scanzano e, naturalmente, a Rotondella. Uno street food che puoi sbocconcellare al mare, lungo tutta la costa jonica, e che un tempo serviva ai pastori, sempre in cammino col gregge, per avere una merenda comoda e ben conservata. Per fortuna l’indagine non si sposta sui falagoni del nord-ovest lucano, quelli ripieni di ricotta dolce e fatti con pasta lievitata, altrimenti non usciremmo più dai pasticci!
Il mistero si infittisce perché sia pastizz che falagone si chiudono alla stessa maniera, lasciando nascosto il proprio ripieno.
Ero rimasta a 10 palline di impasto lasciate a riposare. Passati i 30 minuti, stendo ciascuna pallina fino a ottenere un disco, ne copro metà con l’impasto realizzato e chiudo a mezzaluna, «come un panzerotto, dai!», spiega Simona. Ritaglio la parte in eccesso con la rondella e schiaccio i bordi per evitare che fuoriesca tutto. Bucherello il dorso con la forchetta, spennello con tuorlo d’uovo e inforno a 180° per circa 30 minuti. E finalmente mangio, rigorosamente caldo!
Il pastizz se non è fumante potrebbe perdere la sua caratteristica friabilità esterna e morbidezza interna e, soprattutto, quel senso di tostato che accentua il suo specifico flavour. Proprio per evitare questo delitto, la Locanda Pane e Lavoro ha ideato una food delivery box per tutte le gastronomie specializzate d’Italia: il pastizz arriva pronto e congelato, bisogna solo infornarlo, cuocerlo e mangiarlo.
Finalmente sono arrivata in cima all’antica Rotunda Maris e col mio pastizz fumante mi affaccio dal Balcone. Tutto è limpido da quassù, la brezza mi sussurra una pacificazione alla Guglielmo da Baskerville, il maestro di quella «rosa primigenia di cui esiste solo il nome». E se il segreto del pastizz fosse il suo nome? Il nome della rosa? Allora mi perdo in ipotetiche etimologie che partono dalla pita dei Greci fino ai Romani prima e ai “barbari” popoli del nord poi, trasformandosi in pasticium per poi declinarsi in pasticcio, pastiche, pâte e pâté, pie… Quanti secoli di storia, popoli e gusti in questo pastizz!… E il naufragar m’è dolce in questo mare, ma, poiché sono una gran pasticciona, lascio a te il compito di venire ad assaggiare tutti i pastizz e i falagoni lucani per risolvere con la “tua” lingua questo pasticcio saporito della Basilicata.
0 Commentaires