Dalle rive della sua Metapontion, a due spanne da Matera, Pitagora fu il primo a intuire le proprietà afrodisiache del tartufo. «Se vuoi essere virile, mangia tartufi», così consigliava, forse, ai suoi discepoli. Arrivò poi Plutarco che ne indicò i natali dall’azione combinata di fulmini, acqua e calore. Giovenale raccontò che il tartufo aveva origine da un fulmine scagliato da Giove il seduttore. Anche il medico Galeno osservò che «il tartufo è molto nutriente (e qui si sbagliava, ndr) e può disporre della voluttà». Profumo, intensità e piacere: questo fungo ipogeo da sempre “materia calda”, Teofrasto di Ereso (371-287 a.C.), primo classificatore di funghi, lo definì idnon, “nascosto”, da qui il nome della scienza che lo studia, idnologia. Cosa c’è di più nascosto, eruttivo del desiderio di avvinghiarsi “simbioticamente” al desiderato? L’olfatto ne ha vivida memoria. È un “colpo di odore” che ti fulmina quando sei a pochi metri dal tartufo. È il naso che interviene quando nasce del “chimico” tra mammiferi umani. È il feromone che invita la scrofa a scavare il profumato fungo, perché emana lo stesso effluvio del verro.
A naso si può dire che la Basilicata è ricca di tartufi. La prosperità di tanti fiumi e boschi fa di questa terra una colonia perfetta per le micorrize. La conferma di una significativa produzione locale arriva anche dal maggiore studioso di tartufi lucani, il prof. Gian Luigi Rana, ordinario di Patologia vegetale e docente di Micologia dell’Università degli Studi della Basilicata: «La Valle del Serrapotamo è il regno del bianco». Da queste parti, infatti, lo chiamano il “diamante grigio”. Il professore, oltre a studiarli, si lascia facilmente sedurre dai tartufi. E La Basilicata gliene offre tutte le specie e tipologie commerciabili. La ricetta, personalmente consigliata dall’esperto professor Rana, sono uova tartufate, ma insolitamente “rosse”, che io preferirei chiamare: Uova del desiderio
Uova del desiderio, ricetta
Per 6 persone (ovvero 2 uova a testa)
Deporre 2 pezzi di tartufi bianchi, avvolti con un paio di strati di carta assorbente, in un boccaccio di vetro da 2 litri, adagiarci sopra 12 uova, chiudere bene il contenitore e conservarlo in frigo per almeno 48 ore fino a un massimo di 72 ore (tre giorni). Passato il tempo necessario, in un tegame basso, mettere poca acqua e aggiungerci 200 g di pomodoro, meglio se quello “ramato”, altrimenti anche qualche pelato, tagliati nella maniera più sottile possibile. Aggiungere una presa di sale. Aspettare che il pomodoro si disfi e diventi cremoso: a questo punto romperci le uova dentro e coprire col coperchio. Attenzione: non salare le uova e cuocere a fuoco lento finché l’albume si rapprende. Nel piatto da servire, aggiungere a filo dell’olio extravergine d’oliva e (a chi piace) del peperoncino (la sua piccantezza esalta maggiormente l’aroma del tartufo). Completare il tutto affettandoci sopra scaglie sottilissime di tartufo e mangiare immediatamente, caldissimo.
Le uova del professore, che è anche presidente dell’Associazione micologica dei sostenitori della cultura idnologica Lucana , sarebbero state capo di imputazione nel Medioevo: un fallico afrodisiaco che sboccia sottoterra non può essere opera di Dio. Cibo delle streghe. Sterco del diavolo. Cibo proibito! Nel Medioevo i tartufi vennero equiparati agli alimenti magici e peccaminosi. Lo racconta bene un gioco di parole che Umberto Eco mette in bocca ad Adso. Il caro allievo ricorda come «andare a tartufi» fosse in tedesco «der Teufel»: «andare al diavolo». Sempre a naso, direi che non è molto lontano: l’aroma e il profumo del tartufo sono il mistero stesso dello zolfo e dei suoi compost. Fuoco, acquolina, desiderio: è sempre il più vecchio dei peccati in qualunque nuovo mondo.
«Del tartufo si vende il profumo e il mistero», dice lo chef Pierluigi Torre e il pensiero corre alla moglie Scolastica, altro pilastro del ristorante Rotapipla. E cos’è l’amore se non una continua reiterazione del reato di “sentire” l’altro? Pierluigi il “diavolo” lo ha preso per le corna e, grazie a una passione spudorata per l’odoroso frutto del desiderio, ha lasciato il proprio mestiere da perito elettrotecnico e ha aperto il ristorante. È cominciata come cercatore di tartufi ed è finita come chef del tartufo. La sua “piroetta” (traduzione dall’aviglianese del nome che hanno dato al ristorante) gli ha fatto svoltare il destino: il diavolo gli ha portato fortuna! Lo chef omaggia il sulfureo “fuoco” rendendolo ancora più “croccante”.
Uovo croccante alla Rotapipla
Lessare per circa 5 minuti e massimo a 90°C di temperatura l’uovo. Farlo raffreddare e poi sbucciarlo. Panarlo e friggerlo leggermente, quel tanto che basta a rendere croccante la panatura, ma da lasciarne il cuore rosso liquido e cremoso. Adagiare l’uovo croccante su un battuto di patate, aggiungendo fonduta di caciocavallo lucano, gocce di confettura di peperoni cruschi e scaglie di tartufo bianco.
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