Da soli, di notte o all’alba. Nel bosco, tra la nebbia, con una torcia e accompagnati soltanto dal proprio cane. Il cercatore di tartufi è una delle figure più suggestive e iconiche dell’autunno, ammantato di un mistero ancora irrisolto. E’ l’uomo che sfida se stesso, emblema di una ricerca perenne tra i segreti della natura impenetrabile dalle magiche suggestioni. Una tradizione, un sapere, una conoscenza atavica che è destinata ad essere riconosciuta, dal mondo intero, come “patrimonio dell’umanità”.
Sul sito dell’Unesco è infatti stato pubblicato l’esito della valutazione per l’iscrizione nella lista dei patrimoni dell’umanità della “Cava e cerca del tartufo”. Il comitato di esperti mondiali si è riunito a Parigi e, riconoscendone il valore, ha dato il proprio parere positivo. La decisione finale è attesa a metà dicembre, ma, dopo il via libera dei tecnici, la strada dovrebbe essere ormai in discesa. Si concluderebbe così un iter di candidatura formalmente presentata dall’Italia a marzo 2020, raccogliendo idealmente il sapere dei 200.000 raccoglitori italiani.
E’ evidente la soddisfazione e l’impazienza di chi ci ha creduto fin dall’inizio, convinto che dell’enorme valore di quei gesti antichi, che si ripetono da secoli nei boschi tra Piemonte, Marche, Calabria, Umbria, Molise, Abruzzo, Toscana e Lazio. “Da tanti anni – spiega Mauro Carbone, direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo e direttore dell’Ente Turismo Langhe, Monferrato e Roero – ci chiedono cosa c’è di speciale nei nostri tartufi. La differenza è semplice. In Italia il tartufo è un prodotto culturale. E’ una antica sapienza che permette alla magia della natura di arrivare perfetta nel piatto. L’Unesco intende quindi riconoscere questo enorme patrimonio culturale. Tutti possiamo apprezzare il tartufo nel piatto, ma l’attenzione antropologica ci permette di riconoscere ciò che l’uomo è in grado di fare. I tartufi sono selvaggi, wild: non avrebbero lo stesso valore Il vero valore da premiare non sono i tartufi, ma è la cultura dell’uomo che cerca i tartufi”.
Una candidatura nazionale perché l’Italia è l’unico paese che può vantare una tale tradizione millenaria. Per questo, si punta non al riconoscimento del tartufo in quanto tale (un prodotto della natura notoriamente spontaneo), ma al riconoscimento dell’attività dell’uomo e della particolare tecnica di ricerca, affinata nei secoli.
“La candidatura – ricorda il presidente dell’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, Liliana Allena – è il riconoscimento del lavoro solidale tra uomini, donne e… cani. Un lavoro antico, un rapporto stretto con la natura. Per noi sarebbe un piacere ed un onore chiudere la 91esima edizione della Fiera con questo importante tassello, per l’evento, per il territorio e, in generale, per tutta l’Italia”.
La candidatura del tartufo a patrimonio dell’umanità è quindi un passo importante per difendere “un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali che sviluppa nei territori vocati un business stimato in oltre mezzo miliardo di euro” ricorda la Coldiretti. “L’annuncio avviene in un anno particolare per le condizioni climatiche che hanno fatto schizzare il prezzo medio del tartufo bianco a 450 euro all’etto al borsino del tartufo di Alba”.
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