Una delle più accese dispute enogastronomiche che infiammano il nostro Paese riguarda la cotoletta. Non stiamo parlando di dubbi che oramai appartengono al passato, sulla scelta della carne o sulla frittura nel burro. Ma sulla sua paternità: milanese o viennese? La “vulgata” secondo la quale la nostra cotoletta alla milanese sia una versione italianizzata della viennese, giunta da noi con l’occupante austriaco, sembra infatti oramai abbondantemente smentita dagli storici. Vediamo perché.
La ricetta originale
Partiamo innanzitutto dalla definizione della “vera” cotoletta alla milanese. Toglietevi innanzitutto dalla mente le carni di pollo, tacchino o altre amenità. Come pure la frittura nell’olio extravergine di oliva o di arachidi e anche la celeberrima orecchia d’elefante. La vera cotoletta alla milanese si ricava dalla “costoletta” di vitello (da cui il nome), ottenuta dalla lombata o dal carrè. Rigorosamente con l’osso, e tagliata larga quanto quest’ultimo. Niente “fogli” di carne sottilissimi, né tantomeno orecchie d’elefante, che come vedremo tra poco sembrano più un residuo, questo sì, dell’occupazione austriaca. Le costolette vanno ripulite e, con il batticarne, vanno semplicemente pareggiate e rese di un’altezza uniforme, prendendo sempre l’osso come riferimento. A parte, si sbattono due uova e vi si immergono le cotolette, che poi vengono passate nel pangrattato arricchito con una spolverata di grana e da un pizzico di noce moscata. Altra “sorpresa”, quindi: niente infarinatura! A questo punto, in padella, occorre scaldare il burro chiarificato (che ha il punto di fumo a 180°C anziché i 130 del burro intero, che contiene acqua) e adagiarvi le cotolette. Bastano un paio di minuti per lato. Come condimento, sale e una fetta di limone. Cottura veloce, condimenti semplici, osso, spessore importante: stupisce la gran quantità di analogie con la bistecca alla fiorentina. E infatti la carne di chianina, assieme alla piemontese, è considerata come quella più indicata per la preparazione del famoso piatto meneghino.
Quella asburgica
Bene. L’identikit ce l’abbiamo. Ma insomma, l’abbiamo copiata dagli austriaci oppure no? Analizziamo quindi la rivale della milanese, la viennese, o meglio la wiener schnitzel. Una pietanza che può essere di bovino o di maiale; è senz’osso, e quindi può essere ottenuta anche da tagli come la fesa e la noce. La viennese, poi, non è alta ma sottolissima e ben battuta, come le ben note orecchie d’elefante. E poi c’è l’introduzione della farina prima dell’impanatura. La frittura, poi, tradizionalmente avveniva nello strutto, via via sostituito dal burro da sempre utilizzato per la milanese.
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L’archivio dei monaci
Ora, sul piano dell’antichità, finalmente, è stata fatta chiarezza. Di sicuro non furono i Milanesi a copiarla dagli Austriaci, ma probabilmente è accaduto il contrario. Di cotolette alla milanese, chiamate con eloquenza “lombolos cum panitio” si parla in un antico menù dei monaci di Sant’Ambrogio, nel lontano 1148, documento riportato nella Storia di Milano di Pietro Verri. Una bella leggenda in stile patriottico pre-risorgimentale? No: i documenti citati dal Verri sono esposti nei locali della Biblioteca dell’archivio capitolare della basilica di Sant’Ambrogio, ribattezzato dai profani “l’archivio della cotoletta”! In un manoscritto del 1492, Martino da Como si dilungava già sul metodo di impanatura, specificando che “con esso pane mescola tanto sale sopra lo arrosto in modo che ne vada in ogni loco”.
Radetzky? Una leggenda
La leggenda secondo la quale la milanese sia stata “importata” in Austria dal generale Radetzky, però, si è rivelata per quello che è, ovvero una leggenda. Ai tempi del Risorgimento la cotoletta, gli Austriaci, la conoscevano già, visto che compare in un Piccolo libro di cucina austriaca del 1798. Occhio alla data: 1798. Si è da poco conclusa la sfolgorante campagna d’Italia di Napoleone. Nel 1796 le truppe francesi entravano trionfalmente in Milano e per poco non marciarono anche su Vienna.
C’è pure la francese
In tutta Europa la moda francese impazzava. Come pure una pietanza ben conosciuta oltralpe: le cotolette impanate e fritte, già citate in un ricettario francese del 1749, La science du maitre d’hotel. Si tratta, con ogni probabilità, dell’antenata della viennese, che veniva preparata marinando la carne in burro fuso, sale, pepe, chiodi di garofano ed erbe aromatiche, prima del passaggio in farina, uovo e pangrattato che precedeva la frittura. Come si vede, una ricetta ben diversa dalla nostra cotoletta alla milanese, che sotto il Duomo non a caso veniva chiamata “cotoletta Rivoluzione francese”! Dunque, ricapitolando: milanese e viennese sono piatti diversi, la milanese è molto più antica, mentre la viennese con ogni probabilità nasce per “imitazione” sia della milanese che di una perduta cotoletta francese.
Panorama sconfortante
Aggirandosi per Milano, però, dai bar ai ristoranti alla moda, dalle trattorie alle cucine più rinomate, non si può non notare come l’autentica milanese sia in realtà un piatto sull’orlo dell’estinzione. Troppo spesso, per “milanese”, viene spacciata un’orecchia d’elefante, decisamente troppo sottile per rassomigliare all’originale. Per di più cucinata utilizzando la farina o addirittura senz’osso. Per tacere poi del pollo e della frittura nell’olio. Insomma, quella che oggi si vede in giro rassomiglia assai di più a una viennese che a una milanese. O forse a una “rivoluzionaria” francese, giacobinamente nemica di ogni tradizione. Eccola, la partita da vincere e ancora tutta da giocare.
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