Apre in via Metauro 4 a Milano il LAC, Laboratorio di Antropologia del Cibo. Lo dice già il nome: non si tratta di una scuola di cucina tradizionale, perché il suo obiettivo va oltre le tecniche e le ricette da imparare.
Il progetto è stato ideato da Giulia Ubaldi, giovane antropologa e giornalista che, dopo una laurea in Antropologia Culturale e Visiva a Siena e quattro anni in Cilento a stretto contatto con le realtà agricole, inizia a viaggiare fra le meraviglie del nostro Paese e non solo, specialmente nel Mediterraneo. Ogni meta si trasforma in un luogo da riscoprire attraverso prodotti straordinari, spesso dimenticati, storie di produttori e di famiglie, che Giulia racconta con estrema dedizione e amore per numerose testate (tra cui La Cucina Italiana). Incontri che si intrecciano e che dopo tanti anni di lavoro confluiscono in un unico luogo, dove i suoi oltre 700 articoli prendono vita.
Non poteva che succedere nel suo quartiere, spiega Giulia: «Quando mi è venuta l’idea di aprire questa scuola, volevo tassativamente che fosse al Giambellino. Non avrei voluto farlo da nessun’altra parte. Non solo perché è il quartiere dove sono nata, cresciuta, dove vivo e che conosco meglio, ma anche perché è quello dove il LAC si inserisce meglio come progetto. Un quartiere in cui vivono 150 nazionalità diverse è il luogo giusto per iniziare questo viaggio».
Allora partiamo per la nostra prima tappa.
Primo giorno di scuola: l’esperienza di un corso al LAC
Siamo qui per la lezione dedicata alle arepas venezuelane, accolti da Giulia e dalla playlist scelta da Maria e Juan, i nostri docenti per questa sera. Ci sediamo intorno alla grande tavola del LAC e siamo già a casa, insieme ai nostri nuovi amici.
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Nata e cresciuta in Venezuela, Maria ci confida subito come il suo amore per la cucina sia sbocciato dopo aver incontrato suo marito Juan Carlos, esperto di panificazione. Nel 2012 aprono un’attività insieme a Valencia, Carabobo: inizialmente Maria avrebbe dovuto occuparsi della grafica, ambito in cui è laureata, ma poi si appassiona alla pasticceria. Nasce così Panes Y Chocolates, panetteria e pasticceria che purtroppo resta aperta solo fino al 2014, anno in cui la situazione politica e la difficoltà nel reperire anche gli ingredienti più semplici, come la farina, li costringe a lasciare il loro Paese per giungere in Italia. Qui coltivano le proprie passioni, da quella per l’arte e per la musica, con la band Migrasound, fino a quella per la cucina.
«Il regime ci ha tolto la possibilità di stare insieme alla nostra famiglia, ma ci ha permesso di far conoscere la nostra cultura e di farne conoscere a noi una completamente nuova» racconta Maria, sempre col sorriso negli occhi.
Mentre chiacchieriamo, ci invita ad aiutarla nella preparazione delle arepas, panini a base di farina di mais che più rappresentano la cultura gastronomica del Venezuela. Ci racconta di quando le preparava con sua nonna e di come oggi le prepara insieme a suo figlio. E così iniziamo a capirne di più.
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«La mia arepa preferita è quella più tradizionale, con prosciutto e formaggio, perché mi ricorda di quando andavo a scuola e la mangiavo per merenda. Ma si può preparare e farcire in tanti modi: si può cuocere in padella, al forno, si può friggere, può essere dolce o salata. Le arepas sono il nostro piatto più popolare, si preparano in tutte le case e si possono mangiare nelle arepere. Spesso hanno dei nomi spiritosi o ispirati alla cultura pop: ad esempio, c’è la Reina Pepiada, la più famosa del Venezuela, nata in onore di Susana Dujim, Miss Venezuela e Miss Mondo 1955».
Finalmente si mangia! Assaggiamo la Reina Pepiada in una versione che combina la ricetta originale a un ingrediente tutto italiano: ripiena di pollo sfilacciato, avocado e burrata. E poi facciamo il bis.
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Dopo, è il turno del pan de jamon di Juan, una varietà di pane tipico venezuelano, farcito ogni volta con ingredienti diversi (prosciutto, formaggio, olive e così via), ma contraddistinto sempre da una nota dolce, come quella del papelon, una sorta di sciroppo di zucchero.
Infine il dessert, che ci parla ancora della storia di Maria e del Venezuela. Maria aveva iniziato a studiare la pasticceria già nel suo Paese, quando la situazione rendeva complicato accedere a ingredienti come il latte e burro. Per risolvere il problema, si dedica alla creazione di dolci vegani: «Amo sfruttare quello che la natura può offrire. Ingredienti come la frutta secca e i datteri si trasformano nella base di una torta, mentre il latte di cocco, grazie alla sua componente grassa, è perfetto per creare creme e mousse». Così, con una fetta di crostata impossibile da dimenticare, concludiamo la lezione.
Ma quella di Maria e Juan è soltanto una delle tante storie che vi aspettano al LAC.
Laboratorio di Antropologia del Cibo: una cucina del mondo per fare cultura (anche italiana)
Il cerchio si completa con le materie prime utilizzate durante i corsi, provenienti da piccole aziende italiane, dagli ortaggi delle cascine intorno a Milano fino all’olio extra vergine di oliva del Cilento. Ed ecco che mentre ci gustiamo le arepas venezuelane di Maria e Juan, sorseggiamo il Sangiovese di Romagna di Enio Ottaviani di cui Giulia aveva raccontato qualche anno fa. Oppure assaporiamo i prodotti della cascina Fraschina nelle ricette di cucina rituale vegetariana armena e il pesce pescato in Sardegna diventa protagonista delle marinature per il ceviche peruviano.
L’Italia ritorna anche in quelli che (per ora) sono gli unici 3 corsi regionali che raccontano ancora una volta il viaggio di Giulia: la tradizione milanese, che parla delle sue radici, la scoperta del Cilento e del legame indissolubile con la dieta mediterranea, e infine le contaminazioni della cucina ligure.
Un percorso, di lavoro e di vita, che ha reso possibile l’unione di tante persone differenti, non sempre chef di professione, perché non è importante solo l’aspetto prettamente didattico, ma è soprattutto la convivialità che ci permette di conoscere a fondo l’altro e tutta la sua ricchezza. Dopo tutto, anche quando viaggiamo fisicamente andiamo alla ricerca della cucina più autentica, quella casalinga. Ora che abbiamo sempre più bisogno di riavvicinarci e di tornare a viaggiare, il LAC diventa il luogo dove il mondo intero si riunisce in una sola stanza. Dove su un solo ripiano si possono trovare oltre 30 spezie diverse provenienti da luoghi vicini e lontani, come lo zafferano in Pittari o lo za’atar da scoprire al corso dedicato alla cucina palestinese.
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«In un’era dominata da grandi chef e alta cucina – continua Giulia – il mio scopo è far emergere sempre più anche le cucine di casa, provenienti da ogni parte del mondo, riuscendo a portare qui tradizioni autentiche. Nei piatti di un ristorante spesso c’è troppa mediazione, a me invece interessa valorizzare le persone e il loro potenziale. Voglio dar voce a quelle persone che restano dietro le quinte, che magari non hanno la possibilità di aprire una propria attività. Questa è l’occasione per far conoscere tutto quello che sanno fare».
Ecco perché i docenti hanno qualifiche differenti: ci sono ristoratori o cuochi professionisti, musicisti, casalinghe, artisti, tutti con la grande passione per la cucina e per la propria terra di origine. Alcuni con storie incredibili da raccontare, come i rifugiati e richiedenti asilo, altri migranti di prima, seconda o terza generazione. Ognuno con una propria personalità, capace di andare oltre a una rappresentazione generica del Paese di provenienza.
Ma lo scambio è reciproco: «Nei primi giorni in cui stavo progettando il LAC, dopo aver constatato che il locale aveva anche un box, ho deciso che non volevo assolutamente metterci l’auto, quindi ho creato una biblioteca condominiale libera, sempre aperta, dove i cuochi, i corsisti, o chiunque passi possa consultare e condividere libri di ogni tipo e cultura». Un altro tassello capace di completare un’esperienza ben distinta rispetto al classico corso di cucina.
Non vi resta che scegliere la vostra prossima destinazione. Qui il calendario dei corsi.
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