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La pasta in bianco da tre stelle Michelin di Mauro Uliassi: la ricetta

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Mauro Uliassi
La pasta in bianco

La pasta in bianco è per antonomasia una ricetta non ricetta, di quelle che si mangiano quando si è malati, che si danno ai bambini, che diventano comfort food con una abbondante dose di parmigiano grattugiato. Olio o burro? A seconda delle latitudini. Più dello spaghetto al pomodoro, la pasta in bianco è un piatto che unisce l’Italia, da nord a sud, che tutti hanno amato almeno in una fase della propria vita, e che spesso si è abbandonati in cerca di gusti, condimenti, salse.

Da Gualtiero Marchesi alla pastina del Kresios

Gli chef non si sono fatti scappare la possibilità di rivisitare questo piatto tanto amato, e il primo a farlo è stato Gualtiero Marchesi, correva l’anno 2000. Quattro formati di pasta, un filo d’olio, e l’esaltazione della forma come sostanza. Ma ci ha pensato anche l’allievo Paolo Lopriore, Gianluca Gorini, Giuseppe Iannotti con la sua pastina in bianco e Alberto Gipponi di Dina, che la serve in bianco e pure apparentemente scondita.

La pasta in bianco e aringhe, di Mauro Uliassi

Anche Mauro Uliassi ha ripensato la pasta in bianco. «Il senso proustiano e un po’ pigro, biologicamente “lento” della convalescenza, di cui la pasta in bianco è piatto simbolo, il “condimento” affettivo dell’accudimento di chi te la faceva; ma anche la gioia pura del riprendere a mangiare dopo il digiuno forzato dal malanno, e con qualcosa di caldo e amabile». Eccola la sua pasta in bianco, consolatoria, certo, ma capace di dare nuovi messaggi al tempo stesso. «Il senso del recupero, vi sarà ormai chiaro, è una stella cometa del nostro viaggio in cucina», scrive nel nuovo libro MAURO ULIASSI incontra / meets Giovanni Gaggia, Meretti Editore. «La pasta in bianco ne è, a modo suo, un’apoteosi. Perché non reimpiega solo per intero e in modo sinergico tutti gli elementi usati (il latte per dissalare l’aringa che si fa ricotta “di mare”, il grasso dell’aringa stessa che è fondamentale, il fumetto di pesce figlio di parti di seconda): ma qui il recupero va oltre, e si fa esistenziale. È un riciclo di tempi, sensazioni, condizioni. In più, e infine, abbiamo aggiunto al totale la coesistenza pacifica di condimenti altrove (per vari motivi) conflittuali. Burro, olio, grassi insaturi del pesce uniti nella lotta. Tinte di gusto diverse, fuse nel candore del colore più forte di tutti. Il bianco».

Semplice nel colore, immediata nel gusto, confortante come quei piatti che mangi con il cucchiaio, nasconde nella sua apparente semplicità, un alto tasso di complicazione. Per chi si vuole cimentare, la ricetta stellata. Per gli altri, Uliassi sul lungo mare di Senigallia.

La ricetta

Ingredienti per 4 persone

200 g di calamarata del pastificio “Pietro Massi”
6 aringhe affumicate e dissalate da 250 g ognuna
200 ml di brodo di aringa
150 g di burro di aringa
150 g di burro acido
50 g di ricotta di aringa
20 g di grasso di aringa
1 l di fumetto di pesce
1 l di acqua
3 l di latte
4 spicchi di aglio
buccia di limone q.b.
pepe nero q.b.

Per il fumetto di pesce
1 l di acqua
50 g di carote
50 g di sedano
50 g di porro
50 g di cipolla
300 g di teste di rombo
pepe in grani
100 ml di olio extravergine d’oliva
Mettere tutti gli elementi a freddo nell’acqua. Portare a ebollizione e cucinare per 30 minuti. Schiumare e filtrare.

Per l’aringa dissalata
Mettere 4 aringhe affumicate pulite dalle branchie e viscere a bagno nel latte per 24 ore.

Per il brodo d’aringa
800 g di aringa affumicata e dissalata a pezzi
1 l di fumetto di pesce
1 l di acqua
Mettere tutti gli ingredienti in una pentola e portare a ebollizione. Coprire con un coperchio e far cuocere a fuoco basso per 20 minuti. Filtrare con lo chinois.

Per il burro d’aringa
250 g di burro
80 g di aringa dissalata
Mettere gli ingredienti insieme in un pentolino, quando inizia il bollore coprire e lasciare in infusione fuori dal fuoco per 20 minuti. Frullare leggermente e passare allo chinois, montare in planetaria con la foglia fino a che il burro risulti bianco e arioso.

Per il burro acido
1⁄2 l di aceto di mele
1⁄2 l di Verdicchio
200 g di burro di aringa
4 cucchiai di aceto Trucioleto
Mettere l’aceto di mele e il vino a ridurre fino a ottenere la consistenza di una glassa (circa 50 ml). Montare il burro d’aringa con la riduzione di aceto e aggiungere l’aceto Trucioleto. Formare delle gocce con un cucchiaino.

Per la finta ricotta di aringa
1 l latte in cui si è dissalata l’aringa
Portare a bollore lentamente il latte in un pentolino stretto e con una schiumarola raccogliere i fiocchi di latte coagulato che affiorano e metterli in una fuscella da ricotta. Mettere un peso per far perdere il latte in eccesso e far riposare quattro ore in frigorifero. Abbattere e conservare a -18°C.

Per il grasso di aringa
2 aringhe affumicate
Scaldare le aringhe in forno a 50°C per liquefare il grasso e poi passarle in un torchio per estrarre tutti i liquidi. Separare il grasso con l’aiuto di un cono a pistone (dispenser da salsa).

Per l’olio al pepe di Timut
100 ml di olio extravergine d’oliva
10 g di pepe di Timut
Scaldare leggermente il pepe, mettere l’olio e lasciare per 24 ore in infusione.

Servizio

Buttare la pasta in acqua bollente non salata.
In una padella, rosolare l’aglio a fettine fino a dorarlo e aggiungere fumetto e il brodo d’aringa. Mettere
in padella la pasta ancora croccante e finirne la cottura mantecando con il burro d’aringa. Sul fondo di un piatto grattugiare la scorza di limone, adagiare la pasta e l’emulsione che si è creata durante la mantecatura. Guarnire con 8 gocce di grasso di aringa, 10 gocce di olio di pepe di Timut,

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